tratto da “Il racconto di Sonecka”
Come amo amare! Come amo pazzamente amare
personalmente io! Fin dal mattino, no, prima del mattino, proprio in quel prima
del mattino – dormire ancora e sapere già che di nuovo… Voi quando amate,
dimenticate a volte quel che amate? Io – mai. É come un mal di denti – però
alla rovescia, un mal di denti alla rovescia, duole soltanto, mentre qui –
nemmeno una parola. (Dopo averci pensato: canta?) Insomma, come lo zucchero è
il contrario del sale, ma della stessa forza. Ah, Marina! Marina! Marina!
Marina! Che sciocchi selvaggi sono. (Io, continuando a stupirmi – Chi?) – Ma,
quelli che non amano, che personalmente non amano, come se il problema fosse
quello di essere amati noi… Non voglio dire… certamente – se ti stanchi – è
come andare contro un muro. Ma sapete, Marina, un muro per il quale io non
passerei non esiste! Perfino Jurocka… in certi attimi… ha occhi che quasi
amano! Ma lui – ho questa sensazione – non ha la forza di dirlo, gli è più
facile sollevare una montagna che dire questa parola. Perché lui non può
sostenerlo con niente, mentre io dietro la montagna – ho un’altra montagna
ancora – e ancora una montagna, e ancora una montagna…Interi Himalaya d’amore,
Marina! Vi accorgerete, Marina, di come tutti costoro, perfino i più ricchi di
baci, perfino quelli che sembrano amare di più, abbiano paura di dire questa
parola, di come non la dicano mai?! Mi è stato obiettato che è… banale…
(sbuffando)… è retrogrado e che: perché usare le parole, quando ci sono – i
fatti? (ossia i baci e il resto).
“E io a lui: – Eh no! Il fatto non prova ancora niente, ma la parola è tutto.”
Io ho bisogno proprio solo di questo da un uomo: ti a-mo, e nient’altro, e dopo
facciano pure quello che vogliono, quando vogliano non amare, ai fatti io non
ci crederò, per quella parola che – c’è stata. Mi sono nutrita unicamente di
questa parola.
La Tartaruga edizioni, Milano, 1992
traduzione di Givanna Spendel